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Trap Ebbasta

Recensione di: TRAP EBBASTA
01.10.2020

Quotidiani e periodici, trasmissioni radiofoniche e tv, siti in Rete, libri, insomma più aree dei media (e del sapere) mostrano tante menti, talvolta pregevoli, che su di un tema affrontato assumono il ruolo pedatorio esclusivamente d’attaccanti o difensori di un movimento letterario oppure di una teoria scientifica, di una corrente filosofica di una tendenza di costume. Tutti presi ad esaltare oppure a demolire questo o quello. Più rari in quei testi l’illustrare innanzitutto in che cosa consistano le questioni in campo, loro origini e sostanze prima ancora del giudizio dello scrivente. Insomma a fare capire. Capire, grande verbo.
Il libro che presento oggi appartiene proprio a quel ristretto gruppo di volumi che si dà il primario obiettivo d’esporre, qui con un scrittura scattante e comprensibile per ogni lettore, di che cosa si compone il tosto e attualissimo argomento musicale esaminato: la Trap.
È intitolato Trap Ebbasta, la musica delle nuove generazioni spiegata a tutti.
Lo ha pubblicato la casa editrice Laurana.
La trap è bella?... brutta?... luminosa?... scandalosa? Questi giudizi sono stati variamente espressi sui media spessissino in modo affrettato, il titolo di cui sopra punta soprattutto a capire e far capire che cos’è. Capire, grande verbo.
L’autrice è Isabella Benaglia (1991).
Laureata in Lettere all’Università degli Studi di Parma, curriculum di Scienze dell’Informazione scritta e ipertestuale, lavora nei campi dell’editoria e del giornalismo.
Ha iniziato a occuparsi di musica nel 2016 scrivendo la sua prima recensione musicale per la webzine “Ondarock”, mentre dal 2018 intervista per “Beat & Style” artisti della scena indie-pop italiana. Lo stesso anno ha pubblicato per la casa editrice Arcana il libro Thegiornalisti. Roma, Riccione, Pamplona e altri lidi.

Ha scritto Marcel Proust: “Le canzonette, la musica da ballo, servono a conservare memorie, più della musica colta, per quanto sia bella”.
Eppure, circola spesso un’aria di sufficienza e talvolta d’ostilità, anche da parte di buone intelligenze, verso quel mondo e le canzoni. Che non sono solo canzonette.
“Nonostante l’esistenza di gente come Paoli, De Andrè, Vasco e Paolo Conte” – dice Francesco De Gregori – “I rapport fra musica e cultura sono pessimi”.
In un libro importante nella storia delle idee qual è “Apocalittici e integrati”, Umberto Eco rispondendo agli attacchi alla musica commerciale (mossi, ad esempio, anche dalla figura di un gigante della filosofia e della musicologia qual è Theodor Adorno) scriveva “…Il fatto che la canzone di consumo possa attirarmi grazie a una imperiosa agogica del ritmo, che interviene a dosare e a dirigere i miei riflessi, può costituire un valore indispensabile che tutte le società sane hanno perseguito e che costituisce il normale canale di sfogo per una serie di tensioni (…) L’incanto emotivo della canzone può costituire per il fruitore l’unica possibilità che gli viene offerta nell’ambito di un determinato campo di esigenze, là dove la ‘cultura colta’ non gli offre alcuna alternativa (…) Nella società in cui vivono, ad esempio, gli adolescenti non trovano alcuna altra fonte di modelli. O almeno, nessuna altra fonte di modelli altrettanto energica o imperativa".
Si era nel 1985. Non anni, ere geologiche fa.

Benaglia esamina come meglio non si potrebbe la musica trap e i suoi protagonisti soffermandosi non solo sul dato musicale ma anche sull’identità sociale del trapper, sull’analisi dei testi, sul complicato rapporto fra i giovanissimi fans e i loro genitori, terminando il libro con un glossario dove ci sono i termini più usati nella produzione musicale e, in particolare, in quella della trap. Ovviamente è un vocabolario composto quasi tutto di anglicismi. Pur essendo io ben convinto, e sostenitore, delle ragioni del Diciamolo in italiano valorosamente esposte e promosse da Antonio Zoppetti, se, ad esempio, i trapper li chiamassimo “trappani” finiremmo col designarli offensivamente, come a dire “cafoni” in certi dialetti del centrosud; se li chiamassimo “trappisti”, li indicheremmo quali seguaci della laboriosa e austera regola di S. Benedetto e non mi pare proprio il caso. Qui va bene trappers. Con l’annesso corredo linguistico praticato che, in questo caso, ci aiuta a capire parecchie altre cose di quel paesaggio. Un paesaggio di cui oggi la più nota località è Sfera Ebbasta, non a caso echeggia il suo nome nel titolo del libro. Ebbe il primo successo internazionale con il brano Rockstar.

Il panorama trap appare criptico specie se si cercano precedenti, o paralleli perfino nella ritenuta genitrice (ma in realtà diversa) musica rap. Lì, soprattutto negli States, ci sono slanci politici, non cercateli nella trap italiana se non in rari casi, ma non organizzati in senso strettamente e, meno ancora, rigorosamente ideologico.
Altre caratteristiche. Mai ci sono allusioni o doppi sensi, tutto è diretto ed esplicito; accanto a versi che rimandano a scene intime anche torride troviamo, senza che siano in contraddizione per l’io narrante, momenti d’innocenti ricordi autenticamente fanciulleschi; il frequente rimando all’uso di droghe non deve far pensare allo Ian Dury di “Sex and drugs and rock'n'roll” e suoi più famosi contemporanei, là motivazioni di stili ribelli qui abitudini che fanno parte di un’eccitata quotidianità di un abrasivo vivere, inoltre, ci sono droghe nuove e perfino le classiche canne non sono destinate a socialità come a un tempo, ma a fervida solitudine, felice o infelice che sia; inutili appaiono i raffronti con voci memorabili, quali quelle, per dire, di Elvis Presley o Janis Joplin, perché qui voci importanti non servono, servono personaggi, modalità di racconto da “balloon” di fumetto, e poi c’è l’autotune, strumento digitale che addirittura corregge le intonazioni oltre a produrre effetti sonori (a proposito, voglio ricordare che tale strumento fu usato per primi nel 1997 dai Daft Punk in quel successo planetario che fu Around the World); anarchia dei trappers? erore, direbbe Petrolini, questi ragazzi vogliono diventare ricchi (e alquanti lo diventano), montare su macchine lussuose, indossare gioielli costosi ed esibire tutto questo avendo accanto donne che dire trattate in modo brusco è dire poco. Già, perché la scena trap, a differenza da quella rock d’un tempo, è in grande maggioranza maschile e connotata fortemente da un (sconsolante, va detto) comportamento macho.
Tutto questo è spiegato nel prezioso libro di Isabella Benaglia che non ama particolarmente questo genere, affermando però che ogni tanto le piace ascoltarne qualche pezzo.
Capita anche a me, quella scena musicale non è la mia preferita, ma se devo scegliere un nome ce l’ho. In quella ribalta in netta prevalenza maschile, la rivolgo proprio a una donna: Chadia Rodriguez. Ha dizione di puntuale scansione, notevole presenza scenica, qualche verso azzeccato (… potrebbe averlo scritto Patrizia Valduga… poi si scopre che è proprio Valduga ad averlo scritto… certo, fosse così ci farei un figurone!), accanto, però, va anche notato, a qualche verso di colpevole candore (… fumare scopare mangiare per oggi mi basta… Chadia non mi pare che ‘per oggi’ ti sia sacrificata troppo!). Eccola in una sua hit: Fumo bianco.
Concludendo, questa musica accettatela o respingetela, siatene sostenitori o fottetevene, ma una cosa va praticata come in tante cose del mondo: capire di che cosa si tratta prima di sperticarvi in temerari elogi, oppure sparare sprezzanti giudizi, diventando un Diego Fusaro qualunque (citato nel libro) a vostra infausta scelta.

Dalla presentazione editoriale.
«Cos’è la trap? Dietro a questo genere musicale, che dà voce alle nuove generazioni e profuma di rottura col passato, c’è un mondo difficile da capire. I testi, il modo di esprimersi e di vestirsi, quello di atteggiarsi e cantare: tutto è studiato alla perfezione per portare i trapper al successo, conquistare un fan dopo l’altro, guadagnarsi i più importanti palchi d’Italia. Tuttavia, questa nuova moda è difficile da comprendere, sia per chi non apprezza i suoi beat musicali e le parole che li contornano, spesso superficiali, sia per chi, anche se vorrebbe, non ha gli strumenti per conoscerla a fondo. Il risultato è che la trap viene spesso attaccata in maniera superficiale: dopo aver letto questo libro potrete scagionarla o continuare ad attaccarla, avendo in entrambi i casi delle motivazioni forti dalla vostra parte».

A Isabella Benaglia (in foto) ho rivolto alcune domande.

Da dove viene, che cosa significa la parola “Trap”?

“Trap” significa letteralmente “trappola”, il termine viene ricondotto alla locuzione inglese “trap house”, ovvero “casa delle trappole”, quel luogo in cui gli spacciatori preparano e vendono droga. La trap come genere musicale nasce a cavallo tra gli anni Novanta e i Duemila in questo contesto di disagio, in particolare negli edifici abbandonati e degradati nei sobborghi di Atlanta (Georgia), dove aveva luogo una fervente attività di spaccio. Non a caso, “trapping” significa, nel corrente slang, “spacciare”, e non a caso la droga è uno dei temi ricorrenti nei testi trap.

Una “T” aggiunta a ‘rap’. Indica qualcosa? Un confine? Una differenza?

La trap viene spesso indicata come una evoluzione del rap, nonostante le differenze tra i due generi siano molteplici. Anzitutto, il successo della trap è molto più recente (possiamo ricondurlo al 2015), mentre il rap spopolava già negli anni Novanta.
Un’altra differenza che cade subito all’occhio è il modo di vestire: i trapper ostentano capi firmati, gioielli e in generale una cura maniacale per ogni dettaglio, i rapper hanno uno spirito più underground, che li spinge a indossare felpe e pantaloni larghi, cappelli, adottando dunque un look in generale meno curato.
Per quanto riguarda le basi, quelle trap sono più ripetitive ed essenziali, rispetto ai beat rap che risultano strutturati e complessi. C’è poi, nella trap, un massiccio uso dell’Auto-Tune sul cantato, che è peculiare di questo genere e rappresenta esso stesso il fulcro della canzone; inoltre, i ritmi su cui si fanno le rime sono diversi (4/4 per il rap e “non tempo” per la trap). Per quanto riguarda i temi, la trap ha alla base (come è normale che sia, considerato che nasce nelle trap houses) la droga e la rivincita sociale, mentre il rap parla più della strada e della sofferenza. Il rap ha un atteggiamento sociale critico, la trap è più disimpegnata.

Perché molta attenzione dei trappers alla composizione della propria immagine con tatuaggi, vistosi, collane esagerate, capigliature estrose?

Il quarto capitolo del libro, “L’identikit del trapper e del suo fan”, è interamente focalizzato su questo aspetto: si tratta di un’indagine sul modo di vestire dei trapper, l’ostentazione della loro ricchezza attraverso gioielli e capi firmati, il volere uscire da canoni e schemi già conosciuti, con tatuaggi sul viso e denti d’oro. Potremmo dire che i trapper vogliono l’eccesso a ogni costo. I motivi per cui lo fanno sono potenzialmente infiniti: non passare mai inosservati, scegliendo ad esempio di tingersi i capelli di rosa e indossare collane da migliaia di euro, far parlare di sé, dimostrare che è possibile arricchirsi con la musica mettendo in mostra abiti firmati e gioielli di ogni forma e dimensione, esternare una sorta di “strafottenza”, al contempo non lasciando nulla al caso nella costruzione della loro immagine. Ogni trapper si crea il suo personaggio, e la filosofia è sostanzialmente questa: se nella vita ce l’hai fatta tutti devono saperlo. Ed ecco, ad esempio, che Sfera Ebbasta si esibisce sul palco con due Rolex al polso. Nell’epoca in cui viviamo nulla può essere lasciato al caso, soprattutto quando si è costantemente sotto i riflettori, e in un modo o nell’altro è fondamentale essere sempre al centro dell’attenzione, e i trapper lo hanno capito molto bene.

I testi delle canzoni trap hanno ascendenze letterarie riconoscibili? Se sì da dove, se no perché?

La trap, come sottolineato, nasce in contesti di disagio, dunque i temi più ricorrenti sono la droga, in primis, e poi il desiderio di rivalsa sociale, i soldi, la violenza e l’amore in varie sfaccettature. Anche a questo tema è dedicato un capitolo del libro, in cui vengono analizzati i testi di molte canzoni trap, per cercare di capire il loro fulcro, l’aderenza alla realtà e se hanno senso le molte critiche mosse nei confronti dei toni utilizzati, spesso violenti.

Nelle canzoni dei trappers le donne se la passano piuttosto male, a che cosa attribuisci, da dove nasce quell’ostentato maltrattamento verbomusicale?

Le risposte potrebbero essere tante, i trapper stessi, interrogati su questo tema, hanno cercato di giustificarsi in vari modi. Non so se la colpa sia riconducibile al buon vecchio patriarcato, come quasi sempre accade quando la donna viene posta in una condizione inferiore rispetto all’uomo, o se si tratti di una provocazione, che rientrerebbe in pieno nell’intento dei trapper di volere sempre puntare all’eccesso. Differenziare persona da personaggio è difficile, in parecchie interviste i trapper hanno preso le distanze dai loro testi misogini, spiegando come nella realtà non trovi spazio quello che cantano, ma che sia solo un modo per mettere sul piatto un problema, usando toni violenti proprio per “svegliare” gli ascoltatori e farli riflettere. Una cosa però che non capisco è perché venga messa alla gogna solo la trap, quando testi violenti nei confronti delle donne ne sono sempre stati scritti (“Bella stronza” di Masini, per dire il primo che mi viene in mente).

Aldilà dei giudizi di valore su quel tipo di musica, il successo della trap in Italia che cosa ti dice sull’attuale scenario socioculturale della nostra società?

La trap viene ascoltata principalmente da bambini, preadolescenti e adolescenti, direi che il range va dai 10 ai 25 anni, con qualche eccezione, logicamente. Gli adulti dicono che la trap non comunica nulla, se non messaggi sbagliati e violenti, ma è un circolo vizioso che si ripete a ogni cambio generazionale. Io semplicemente penso che la musica, per funzionare, debba saper parlare al proprio pubblico. Le nuove generazioni sono più individualiste e materialiste, dunque si rispecchiano in pieno nei valori della trap. La trap ha portato, a suo modo, delle novità, dei beat freschi e ha arricchito una serie di cantanti e producers giovanissimi, oltreché svecchiato la scena musicale italiana fatta dai soliti cantanti pop plasticosi. Non sono una grande fan del genere, ma se può darci una alternativa alle solite canzoni ben venga ascoltarlo in spensieratezza, senza dovere per forza sempre cercarne il valore intrinseco, ma lasciandoselo scivolare addosso senza troppo criticare la mancanza di un messaggio o la frivolezza di un testo.

TRAP EBBASTA

la musica delle nuove generazioni spiegata a tutti

di Isabella Benaglia

editore: Laurana Editore

pagine: 192

Cos’è la trap? Dietro a questo genere musicale, che dà voce alle nuove generazioni e profuma di rottura col passato, c’è un mondo difficile da capire. I testi, il modo di esprimersi e di vestirsi, quello di atteggiarsi e cantare: tutto è studiato alla perfezione per portare i trapper al successo, conquistare un fan dopo l’altro, guadagnarsi i più importanti palchi d’Italia. Tuttavia, questa nuova moda è difficile da comprendere, sia per chi non apprezza i suoi beat musicali e le parole che li contornano, spesso superficiali, sia per chi, anche se vorrebbe, non ha gli strumenti per conoscerla a fondo. Il risultato è che la trap viene spesso attaccata in maniera superficiale: dopo aver letto questo libro potrete scagionarla o continuare ad attaccarla, avendo in entrambi i casi delle motivazioni forti dalla vostra parte.
15,90

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